Nei quattro numeri precedenti di MeRi news abbiamo provato a rispondere
al coro di esperti e giornalisti che ha sostenuto l’inevitabilità della perdita
d’olio dell’annata 2014 sostenendo che qualcosa di più per ridurre la perdita
di olive si sarebbe potuto fare: bastava applicare il Dimetoato agli olivi a
tempo debito. Certo, ciò avrebbe richiesto ben altra attenzione ed
organizzazione di quella con cui è stato affrontato il problema e sono
attualmente gestiti gli oliveti. E con ciò non mi riferisco a qualche oliveto
sperimentale di qualche dipartimento di agraria o centro di ricerca, ma alla
maggior parte degli oliveti, quelli che poi, di fatto, determinano la
produzione di olio. In questi, le tecniche colturali, di difesa e di raccolta
non differiscono molto da quelle di un secolo fa e conoscenza scientifica,
innovazione e ricerca trovano scarsi riscontri.
Nel numero precedente, dopo aver cercato di dare un’idea di quanto sia
impegnativa la tecnica per la protezione degli oliveti (previsioni meteo
personalizzate + analisi delle olive infestate + uso del Dimetoato a tempo
debito), abbiamo concluso osservando come sia molto più semplice sperare che
tutto vada per il meglio e, in caso contrario, chiedere contributi pubblici. Ma
il ritardo dell’innovazione tecnica nella protezione degli olivi (come delle
altre colture) non dipende, nel nostro Paese, soltanto da una carenza di mezzi.
Un vero e proprio ritardo culturale accomuna una moltitudine di operatori
agricoli ‘ fai da te ’ e opinione pubblica: l’avversione all’uso di prodotti
chimici in agricoltura. Anche per questo, molti olivicoltori rifiutano
sdegnosamente anche solo di parlare di ricorso all’uso del Dimetoato. Secondo
loro, dato che il prodotto è tossico, esso è nocivo per la salute e per
l’ambiente. Questo è vero, ma il rischio dipende da quanto prodotto si usa; e
ci sono regole precise da rispettare nel suo impiego perché il Dimetoato, potenzialmente
tossico, non provochi danni né alla salute e né all’ambiente.
Le regole per l’uso del Dimetoato (come degli altri prodotti
fitosanitari) sono il risultato di ricerche scientifiche e sperimentazioni
serie fatte non solo dalle industrie chimiche private
produttrici, ma anche dagli Enti pubblici che hanno il compito
di tutelare la salute dei cittadini, degli animali e dell’ambiente. Queste
regole sono diverse e articolate in relazione al grado di efficienza e
pericolosità dei prodotti e riguardano: il loro acquisto, trasporto e
conservazione, il metodo di difesa (a calendario, guidata, biologica,
integrata), l’etichettatura, l’uso, la pulizia e il ricovero delle macchine irroratrici,
lo smaltimento, ecc.. (consultare ad es.: ‘Guida al corretto impiego dei
prodotti fitosanitari’ Regione Lazio, 2009; oppure la Determinazione A02562 del
4 aprile 2013 della Regione Lazio). Ciò che mi preme puntualizzare qui è che
l’uso del Dimetoato, nel rigoroso rispetto di queste regole,
è un importante contributo della Ricerca Scientifica alla produzione dell’olio
e non un subdolo attentato alla qualità dell’ambiente e alla salute umana. Se
mai è il rifiuto ‘a priori ’ di questo prodotto a essere un modo irrazionale di
protezione degli oliveti. Le regole per l’uso sicuro ed efficiente dei prodotti
fitosanitari ci sono, basta rispettarle (e farle rispettare).
Spulciando tra le decine di articoli in rete sul calo dell’olio del
2014, da cui abbiamo preso le mosse fin dal primo numero di MeRi news, abbiamo
trovato qualche nota fuori dal coro (poche, in verità), che merita di essere ripresa.
A proposito di olivicoltura c’è chi sostiene che non c'è conoscenza e ci si
affida a quello che facevano i nostri nonni, chi che non si può continuare a
fare l'olio come 60 anni fa, chi che l'agricoltura è cambiata e il clima anche,
e perciò è necessario aggiornarsi e chi che l’Italia è rimasta arretrata per
quanto riguarda l’olivicoltura moderna. Poi si trovano anche critiche più
specifiche come: abbiamo rinunciato alla sperimentazione, stiamo abbandonando
la ricerca che ci aveva reso celebri nel mondo, le forze della natura esistono
e incidono, ma quello che fa la differenza è la preparazione. Infine, in un
post di RGU notizie ho trovato la proposta più sensata: dopo l’invito a ‘ non
creare allarmismi ’ a proposito del calo di produzione dell’olio, si afferma ‘ la
volontà di chiedere a gran voce un osservatorio su l'andamento dei fenomeni
fitosanitari ’.
L’introduzione del metodo scientifico nella difesa fitosanitaria degli
oliveti (e delle altre colture), con ciò che comporta in termini di conoscenze,
organizzazione, monitoraggio, strumenti, investimenti, ecc. non è cosa che può competere alle singole aziende, bensì alle
loro organizzazioni: consorzi, cooperative, associazioni. Sono queste che
dovrebbero (e avrebbero dovuto) preoccuparsi d’introdurre innovazione nelle
pratiche agricole tradizionali. E invece, leggendo le loro reazioni di fronte
al calo della produzione di olio dello scorso anno, esse sembrano preoccupate a
fronteggiare l’emergenza attuale (cosa più che necessaria), ma non di prepararsi
ad affrontare i prossimi attacchi della Bactrocera con maggiori probabilità di
successo.
Nell’incontro di Montepaldi del 19 dicembre 2014 (http://www.scuoladellolio.it/it/news/19-andamento-climatico-e-infestazione-di-mosca-olearia
), in cui si sono analizzate la cause del calo dell’olio in Toscana, il prof.
R. Petacchi della Scuola Sant’Anna di Pisa, nella presentazione ‘La mosca delle
olive: il punto sulla bioecologia alla luce anche dell'annata olivicola 2014’,
ha mostrato un grafico, relativo all’analisi dei dati della sua regione, da cui
risulta che le ultime infestazioni dannose della mosca olearia si sono succedute
ad intervalli di (circa) sette anni (2001, 2007, 2014). Non disponendo di dati
altrettanto accurati, possiamo ipotizzare che anche nelle altre regioni
dell’Italia Centrale il ritmo degli attacchi dannosi sia simile. Le
organizzazioni degli olivicoltori hanno dunque a disposizione (circa) sette
anni per affrontare la Bactrocera in modo più razionale di come hanno fatto
finora (e con maggiori probabilità di successo).
Maurizio Severini
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