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domenica 29 marzo 2015



Nell’ultimo numero di MeRi news abbiamo visto come sia importante, per controllare in anticipo gli attacchi della mosca delle olive (Bactrocera oleae), la data d’Inizio Infestazione (I.I.). Abbiamo anche visto che, per una stessa azienda (o per una stessa zona), le date d’I.I. da conoscere sono DUE: la data di I.I. attuale, cioè la data della prima ovideposizione della mosca nell’anno in corso e la data di I.I. media pluriennale, cioè la data media della prima ovideposizione nei dieci (meglio venti) anni precedenti.

Per una azienda, il modo più preciso e diretto per determinare la data di I.I. è di raccogliere, a partire dall’indurimento del nocciolo delle drupe (giugno), 100 olive ogni settimana, sezionarle e calcolare la percentuale di quelle con uova o larve (o pupe) della mosca. Ed è questa la procedura seguita solitamente dagli olivicoltori e (più spesso) dagli esperti delle loro associazioni. Tuttavia, per essere utile, la procedura va ripetuta, nella stessa azienda, per (ameno) dieci anni. Così, mentre per determinare la data di I.I. attuale basta applicare la procedura nell’anno in corso, per avere la I.I. media pluriennale ci vuole un periodo di tempo molto più lungo. E’ qui che casca l’asino. Considerando che il rischio di attacco della mosca olearia in un certo anno è dato dall’anticipo della I.I. attuale sulla I.I. media pluriennale, se non è nota la data di quest’ultima, la conoscenza della I.I. attuale non ha un valore previsionale.

Per determinare la data di I.I. media pluriennale si dovrebbe (o si sarebbe dovuto) mettere mano a progetti decennali di osservazioni dell’I.I. a livello di azienda (o di zona limitata); osservazioni eseguite sempre con la stessa procedura in modo da dare dati (e date) confrontabili da cui calcolare medie locali significative. Purtroppo, nel nostro Paese, risulta sempre più difficile realizzare, in agricoltura, progetti di così ampio respiro (è più facile organizzare mostre e fare spot pubblicitari). Molti progetti, dopo un inizio promettente, sono stati prematuramente interrotti (e non per mancanza d’idee e di prospettive). Come abbiamo visto nel post precedente. In generale, la vera difficoltà per la previsione degli attacchi della mosca olearia non risiede nella carenza di conoscenze scientifiche, ma nella mancanza di dati adeguati per applicarle.

Fortunatamente, non tutti i progetti a lungo termine in cui sono state determinate le date pluriennali d’I.I. della mosca sono stati interrotti ed alcuni di essi sono ancora in corso (come, ad esempio, in Toscana). Malgrado ciò, anche le zone sotto il loro controllo hanno subito un calo significativo della produzione di olio a causa della mosca nel 2014. Segno che c’è anche un altro asino che casca da un’altra parte. Dove?

L’esperienza dimostra che, nello stesso anno, l’incidenza degli attacchi della mosca olearia sono distribuiti sul territorio ‘a macchie di leopardo’ e che, anche negli anni di infestazione generalizzata, alcune zone sono colpite di più e altre di meno. Anche se la mosca vola, non vola troppo lontano, né da tutte le parti nello stesso modo, e la sua densità (e quindi il suo danno) varia sul territorio anche a piccola scala. Segno che, oltre al volo, altri fattori ambientali contribuiscono a determinarne la diffusione: microclima e vegetazione in primo luogo). In breve: l’entità degli attacchi della mosca non varia solo temporalmente (da un anno all’altro, da un mese all’altro), ma anche spazialmente (da un posto all’altro). Perciò, per un controllo veramente efficace della Bactrocera, si pone il problema di una Rete di Monitoraggio dell’Infestazione sul territorio. Dove analizzare le 100 olive e, soprattutto, quale deve essere la distanza ottimale dei punti di monitoraggio?

Per affrontare questo problema, mi riferisco, ancora una volta, al report ‘L’Olivicoltura nel Lazio: la mosca delle olive nel territorio del Lazio’ frutto della collaborazione tra il Laboratorio Entomologia della Scuola Sant’Anna di Pisa (Istituto Scienze della Vita) e l’Agenzia Regionale  ARSIAL della Regione Lazio.  Nel Capitolo 6: ‘Discussione dei risultati’, paragrafo: 6.2 ‘Ottimizzazione della rete di monitoraggio’, si suggerisce - in base ad un’analisi geostatistica molto accurata - che, per aree olivate omogenee è opportuno avere un punto di monitoraggio ogni 300 ha (ettari). E, dato che negli anni del progetto (1999 – 2003), in 300 ha di aree olivate del Lazio c’erano, in media, circa due punti di monitoraggio, si concludeva che la Regione, per quanto riguarda il controllo della Bactrocera, ha “una buona copertura del territorio”. Ora, però, se si considera che quei punti non sono diminuiti significativamente negli ultimi 10 anni, è lecito chiedersi: come si spiega il danno della mosca dello scorso anno anche nel Lazio?

Questa domanda non deve far pensare che una rete di monitoraggio avrebbe evitato da sé l’attacco della mosca olearia, attacco che dipende dalle condizioni climatiche e dalle caratteristiche biologiche dell’insetto. Essa vuole ribadire che, per ridurre i danni, il problema è quello di avere, in agricoltura, programmi decennali di ricerca applicata (ad esempio per conoscere l’I.I. media pluriennale) nei quali una rete di monitoraggio adeguata funzioni, senza interruzioni, da strumento scientifico per stabilire il ruolo delle suddette condizioni climatiche e caratteristiche biologiche nel territorio considerato … proprio negli anni eccezionali. Perché la conoscenza della Bactrocera non si fa soltanto nei laboratori universitari, ma soprattutto in campo … e per questo servono tempi lunghi. E poi, se vogliamo passare dalla mosca al suo danno (economico), mi pare opportuno riconoscere che questo vada visto in riferimento all’azienda.

Facciamo due conti. La superficie olivata del Lazio è di circa 110.000 ha e le aziende olivicole sono circa 86.000, dato che 110.000/86.000 = 1,28, una azienda olivicola della Regione gestisce in media (molto) meno di 2 ha di oliveto. Pur assumendo che ogni azienda abbia 2 ha, un punto di monitoraggio della Bactrocera ogni 300 ha dovrebbe ‘servire’ in media 150 aziende, se i punti di monitoraggio sono due, come nel Lazio, le aziende da servire scendono a 75. Se questo numero può essere considerato buono per scopi di programmazione regionale o provinciale (e a ciò si riferisce correttamente il report L’Olivicoltura nel Lazio ), esso è ancora troppo grande per poter parlare di controllo della Bactrocera ‘personalizzato’ per azienda. Per questo, è opportuno aumentare ulteriormente la densità dei punti di monitoraggio dell’infestazione e scendere al di sotto della densità di un punto ogni 100 ha, cioè ogni km2 di superficie olivata (solo nelle zone ad elevata densità olivicola). Una tale soluzione, che cura il danno della Bactrocera alla scala dell’azienda olearia, richiede un’organizzazione specifica e finanziamenti adeguati. Di ciò discuteremo nei prossimi numeri.

N.B. Il riferimento all’estensione dell’azienda media è puramente indicativo, ciò che conta è la variabilità topografica e microclimatica. Ma, sempre in media, considerando l’orografia tipica delle zone olivicole italiane (e, in particolare del Lazio), in due aziende distanti tra loro circa 1 km si dovranno distinguere, in media, due microclimi diversi e quindi due giorni diversi d’Inizio Infestazione. Questa asserzione è sostenuta, indirettamente, da una delle mappe riportate nella pubblicazione a cui ci riferiamo. Dalla Tavola VIII abbiamo estratto i risultati del primo campionamento delle olive. L’area rappresentata è all’incirca (20 x 20) km2 e mostra quanto sia variabile il grado d’infestazione iniziale sul territorio. Abbiamo anche aggiunto un grigliato tratteggiato con maglia di circa 2 km per mostrare che anche in un quadrato di 4 km2 (cioè 400 ha) il grado d’Infestazione Iniziale (e quindi la data) I.I. può variare, e di molto.     




Si ringraziano gli autori della pubblicazione per il permesso di lavorare sulla loro mappa.


Maurizio Severini

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venerdì 13 marzo 2015


Continuiamo il discorso sull’inizio dell’infestazione della mosca dell’olivo (Bactrocera oleae) iniziato nel post precedente per una sola zona (Rieti), estendendolo, ora, a un intero territorio. Lo continuiamo riferendoci ancora alla ricerca del Laboratorio Entomologia della Scuola Sant’Anna di Pisa (Istituto Scienze della Vita) in collaborazione con l’Agenzia Regionale ARSIAL della Regione Lazio. Dati e risultati di questa ricerca sono riportati nella pubblicazione a stampa ‘L’Olivicoltura nel Lazio: la mosca delle olive nel territorio del Lazio’ che, per quanto ho cercato, non sono riuscito a trovare in rete. Così che, visto che considero questi dati molto utili per continuare il discorso sulla interazione tra ricerca scientifica e coltura dell’olivo, merce rara al giorno d’oggi, mi riferirò ad essi. E poi, non mi dispiacerà di contribuire alla loro circolazione; naturalmente, a stretto contatto con chi li ha prodotti, come, del resto, già sto facendo. Ricordo ancora una volta che i dati si riferiscono a 19 Zone Progettuali con specifica vocazione olivicola in tutte e cinque le province del Lazio (5 in provincia di Viterbo, 2 in provincia di Rieti, 5 in quella di Roma, 3 di Latina e 4 di Frosinone).

La Mappa d’Inizio Infestazione (I.I.) della mosca in un territorio è la rappresentazione cartografica delle date (o delle settimane) della sua prima ovideposizione nelle diverse zone. L’I.I. si verifica generalmente in estate dopo il cosiddetto ‘periodo bianco’, nella fase fenologica in cui le olive iniziano ad indurire il nocciolo e sono sviluppate abbastanza per nutrire le larve. In uno stesso anno, le date della prima ovideposizione variano, nello stesso territorio, da zona a zona (e, spesso, da azienda a azienda) e vengono, quindi, rappresentate su una mappa, simile a una carta geografica. Per una stessa zona, si possono definire due mappe d’I.I.: una mappa d’I.I. ‘media pluriennale ’, che riporta - per ciascuna zona del territorio rappresentato - la data media d’inizio infestazione negli anni precedenti (calcolata almeno con 10 anni, meglio 20) e una mappa d’I.I. ‘attuale’, che riporta le date d’inizio infestazione dell’anno in corso. La mappa media pluriennale dice all’olivicoltore (o al consorzio) quando iniziare i campionamenti delle olive per monitorare l’andamento dell’infestazione e per stabilire, sulla base del primo campionamento, la data d’inizio dell’infestazione nell’anno in corso nella sua zona. La determinazione di questa data in più zone del territorio permette di elaborare la mappa d’I.I. attuale.

In un’azienda (o in una zona), gli attacchi veramente dannosi della mosca negli anni non sono, per fortuna, né regolari e né frequenti. Per questo, le mappe d’I.I. media pluriennale di un territorio danno, in generale, le date della prima ovideposizione non dannosa per quella zona. In un dato anno, l’entità dell’anticipo della I.I. attuale sulla I.I. media pluriennale dà il rischio del futuro attacco della Bactrocera in quell’anno. E quindi, dà all’olivicoltore la possibilità di apprestare in anticipo le tecniche colturali e di difesa più opportune per la sua coltura. In una zona, maggiore è l’anticipo della I.I. attuale su quella media pluriennale e maggiore è il rischio di danno della mosca delle olive, perché maggiore è l’anticipo e più tempo la mosca avrà a disposizione per infestare le drupe e compiere un maggior numero di generazioni. Dunque, per una reale utilità pratica in olivicoltura, sono necessarie ambedue le mappe d’I.I..

Nella pubblicazione che sto considerando, c’è una tabella con le settimane d’I.I. attuale, stimate in base al risultato del primo campionamento delle olive (eseguito, generalmente, in ritardo rispetto alla prima ovideposizione), per il quinquennio 1999 – 2003, nelle 19 zone progettuali della Regione Lazio





e una mappa di I.I. attuale per l’anno 2002, anno in cui si è verificata l’infestazione più grave della Bactrocera.




Ma non ci sono né dati e né mappe relativi alla I.I. media pluriennale. E giustamente, perché la ricerca a cui si riferisce la pubblicazione si basa solo su cinque anni di dati d’infestazione e un tale intervallo di tempo è troppo breve per calcolare valori medi pluriennali significativi ed elaborare una mappa utile. Così, malgrado la pubblicazione suggerisca un modo di organizzare i campionamenti delle olive al fine di prevedere il rischio della Bactrocera fin dal primo campionamento, a causa del ridotto numero di anni della ricerca, la previsione può risultare poco affidabile. E la sua possibilità di applicazione pratica, nel Lazio, molto ridotta.

A questo punto sorge spontanea la domanda: dopo il 2003, ultimo anno a cui si riferisce la pubblicazione, il suo progetto si è interrotto o è continuato per altri cinque (o magari dieci) anni? La mia paura è che esso sia stato interrotto, così da non aver permesso di elaborare quella mappa media pluriennale dell’ I.I. che avrebbe ‘chiuso il cerchio’ e dato all’olivicoltore uno strumento scientifico utile per gestire, anno per anno, gli attacchi della mosca olearia. Della cosa non mi stupirei più di tanto, visto che è molto più semplice imprecare contro l’imprevedibilità dei fenomeni che apprestare strategie di difesa che richiedono organizzazione, soldi, mezzi e conoscenza scientifica. D’altra parte, il nostro Paese è pieno di infrastrutture iniziate e mai finite.



Maurizio Severini




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domenica 8 marzo 2015



Dopo aver dedicato i precedenti due numeri di MeRi news al tema delle previsioni meteo locali personalizzate per azienda, riprendo la discussione su ciò che ho letto in rete a proposito del grave calo di produzione di olio dello scorso anno. Qui, esperti e giornalisti hanno levato un coro quasi unanime contro l’imprevedibile infestazione anticipata delle olive da parte della perfida mosca olearia. Ma l’anticipo in questione era imprevedibile? Naturalmente, la risposta dipende da ciò che s’intende per ‘prevedibile’. Se si tratta di prevedibilità da bar dello sport, possiamo essere d’accordo. Ma se ci si riferisce a studi e ricerche scientifiche già fatte sull’argomento, qualche dubbio viene.

Leggo in un post del Messaggero (26 10 2014) che negli ultimi due anni la Bactrocera ha anticipato la sua comparsa e che mentre negli anni passati essa cominciava ad infestare le olive della pianura viterbese a fine agosto, ultimamente le infestazioni si cominciano a vedere già a fine giugno. Aggiungo io che un anticipo dell’attacco della mosca è compatibile con l’attuale riscaldamento globale dell’atmosfera. In un post de La Repubblica (12 11 2014), nell’intervista all’ex presidente dell’ASSOPROL (organizzazione di olivicoltori), si legge che gli olivicoltori erano stati avvertiti fin da luglio del rischio della mosca olearia, ma che hanno preso l’avviso sottogamba. E perciò dovrebbero fare mea culpa. Se è così, è difficile dargli torto.

Nell’intervista di Repubblica si legge anche che nel settore olivicolo non c’è conoscenza e ci si affida a quel che facevano i nostri nonni e in un altro articolo (Il Post, 15 11 2014) si sostiene che il nostro Paese è rimasto indietro sull’olivicoltura moderna, perché abbiamo rinunciato alla sperimentazione. Queste due affermazioni sono in parte condivisibili e in parte no. In Italia, la conoscenza e la sperimentazione in olivicoltura ci sono e come, ma esse, nella maggior parte dei casi, restano confinate nei dipartimenti di agraria e negli articoli scientifici e trovano scarsa applicazione nelle aziende produttrici.

A riprova di ciò riporto i risultati di una ricerca sulle infestazioni della Bactrocera oleae nella Regione Lazio, ricerca condotta dal Laboratorio Entomologia della Scuola Sant’Anna di Pisa (Istituto Scienze della Vita) in collaborazione con l’Agenzia Regionale ARSIAL. Questi risultati sono riportati nel bollettino ‘L’Olivicoltura nel Lazio: la mosca delle olive nel territorio del Lazio’ della serie Oleico, diffuso in occasione del convegno a conclusione della ricerca. Anche se le diverse Regioni italiane non sono tutte allo stesso livello nell’applicazione delle conoscenze scientifiche alla protezione degli oliveti, mi pare che l’esempio del Lazio possa considerarsi emblematico di molte Regioni. E poi, io mi riferisco a esso perché è quello che conosco meglio e perché il Lazio è la mia regione. 


La ricerca si basa sull’elaborazione dei dati d’infestazione della mosca rilevati nel quinquennio 1999 - 2004 in 19 Zone Progettuali della Regione, quelle con specifica vocazione alla produzione olivicola: 5 in Provincia di Viterbo, 2 in Provincia di Rieti, 5 in quella di Roma, 3 di Latina e 4 di Frosinone. I dati riguardano catture settimanali della mosca con le trappole e conteggi settimanali di olive parassitate. Vengono determinati i valori di Infestazione Attiva (I.A. - somma di uova e larve ‘piccole’ di 1a e 2a età) e di Infestazione Dannosa (I.D. - somma di larve ‘grandi’ di 3a età, pupe o fori d’uscita). Distinzione, questa, largamente accettata dai ricercatori.

I dati sono stati analizzati con i metodi statistici dell’analisi ‘oggettiva’ geostatistica e dell’analisi della varianza e quindi, fatta salva la rappresentatività del fenomeno con (soli) cinque anni di osservazioni, i risultati si possono considerare scientificamente validi. Essi riguardano molteplici aspetti dell’infestazione della Bactrocera: l’incidenza temporale e percentuale delle I.A. e delle I.D. nei diversi anni, nelle diverse zone progettuali, nelle diverse Province. Qui, tanto per fare un esempio, mi riferisco solo ai risultati della zona progettuale della Sabina Reatina. 

Secondo questo studio, nel 2002, anno in cui si è verificata l’infestazione più grave della mosca, il primo campionamento nella Sabina Reatina (Comuni di Fara in Sabina, Montopoli in Sabina e Castelnuovo di Farfa) è stato effettuato la 32a settimana dell’anno, cioè la prima di agosto, quando l’infestazione dannosa era già al 4% (grafico a destra). Sulla base dello stadio di sviluppo più avanzato della mosca rilevato al primo campionamento, l’inizio dell’infestazione è stato fatto risalire alla 28° settimana, cioè alla prima settimana di luglio. Trascrivo ciò che si legge a questo proposito nelle conclusioni del report:« La Sabina Reatina si distingue per avere livelli d’infestazione attiva (I.A.) e soprattutto d’infestazione dannosa (I.D.) più elevati. Nel 1999 la mosca ha iniziato ad infestare le olive tardivamente (fine agosto) e anche nel 2003 gli attacchi sono stati molto contenuti fino alla fine di agosto. Negli altri anni (2000, 2001, 2002) invece la situazione è stata molto diversa con presenza d’infestazione attiva e dannosa a fine luglio primi di agosto. Questo mette in evidenza ancora di più che ogni anno rappresenta una storia a sé stante e che, anche in questa provincia, la mosca delle olive è bene che sia monitorata a partire dalla metà di luglio. In merito a come l’infestazione si evolve, nel tempo, sul territorio, è possibile osservare quello che è avvenuto nel 2002, in cui le aziende nelle quali, alla prima settimana di agosto, si era già in presenza di larve grandi, pupe e fori d’uscita, sono localizzate soprattutto In un’area della Sabina Reatina, dove, alla pari, sono presenti anche le aziende con maggior percentuale di I.D.». Dunque, in assenza di dati ed analisi ulteriori, la ricerca potrebbe (e avrebbe potuto) mettere in guardia gli olivicoltori sul fatto che la Sabina Reatina è un’area a maggior rischio d’infestazione della mosca. E perciò, se c’è una zona in cui iniziare precocemente il monitoraggio della Bactrocera, diciamo agli inizi di giugno per un sano principio di precauzione, è proprio questa.

E invece, nel 2014, Il primo Bollettino di Avvertimento Fitopatologico Settimanale della Zona Progettuale Sabina DOP si riferisce alla settimana 31/07 – 06/08, cioè alla prima settimana di agosto (http://www.sabinadop.it/ricerca.asp#result). La domanda che viene spontanea è se chi ha emesso il bollettino conosceva il lavoro della Scuola S.Anna (e della Regione Lazio) e, se sì, per quali ragioni ha deciso di non seguirne (a quanto pare) le indicazioni.

Non so se attualmente esiste una collaborazione tra la Scuola S.Anna e il Consorzio Sabina DOP (le informazioni a cui faccio riferimento sono prese dalla rete), ma non posso non pensare che, nello scorso anno, uno stretto collegamento tra il primo (ricerca) ed il secondo (produzione) avrebbe potuto consigliare un anticipo del monitoraggio in campo della mosca e, forse, ridurre (se non evitare) la perdita di olive che ha colpito in maniera grave anche la Sabina.


Maurizio Severini

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giovedì 26 febbraio 2015




Ancora oggi, nella maggior parte delle comunità olivicole, gli olivicoltori fanno previsioni meteorologiche semplicemente guardando fuori dalla finestra. Osservando il movimento delle nuvole e prestando attenzione ai cambiamenti di direzione del vento (ah, il galletto sul tetto), basandosi sulla propria esperienza, prevedono se e come il tempo andrà a cambiare sul proprio oliveto. Qualcuno, più accorto, tende l’orecchio alle previsioni meteo diffuse dai canali TV; ma, in fondo, di esse non si fida perché l’esperienza gli ha dimostrato che, al più, esse sono indicative di una situazione media su un territorio molto più esteso della sua azienda. Mentre a lui servono previsioni locali ‘personalizzate’.

Le previsioni meteo locali sono fattibili, ma necessitano ancora di verifiche e d’investimenti prima di diventare di routine. Tuttavia, di fronte a danni come quelli della raccolta delle olive dello scorso anno, esse possono dispiegare il loro vantaggio economico fin da oggi. Va anche detto che le previsioni a microscala costituiscono uno dei principali obiettivi e una delle maggiori difficoltà della ricerca meteorologica attuale.

Storicamente, sorvolando sui vari metodi filosofici e/o empirici, le principali tappe della previsione meteorologica con metodi scientifici sono state tre: i) Previsione Statistica. Nel 18° secolo, grazie allo sviluppo delle telecomunicazioni, fu possibile verificare ipotesi secondo cui una data situazione meteo in un posto (ad esempio a Torino) si ripresentava con una certa probabilità dopo un giorno in un altro posto (ad es a Trieste). Verificato che la connessione si ripeteva, si cominciò a prevedere, dalla condizione meteo in un posto, quella del giorno dopo in un altro. Così cominciò svilupparsi una primitiva previsione locale. ii) Previsione Soggettiva. Nel 19° secolo, divenne importante la figura professionale del Previsore che, sulla base della teoria dello spostamento delle Masse d’Aria a grande scala traduceva le Carte Meteorologiche sinottiche in previsioni locali (a piccola scala) dipendenti dalla geografia del posto. iii) Previsione Numerica. All’inizio del 20° secolo, a partire dal lavoro di L.F. Richardson, si capì che il tempo meteorologico poteva essere previsto tramite Modelli Numerici. La previsione numerica usa Modelli Matematici dell’atmosfera e dell’oceano per prevedere il tempo futuro a partire dalla situazione attuale. Ma si dovette attendere fino allo sviluppo dei Modelli per Computer per avere previsioni realistiche e utili. Attualmente nel mondo, si producono computer sempre più potenti (supercomputer) per far ‘girare’ modelli numerici sempre più complessi per previsioni sempre più affidabili.


Il problema è che essi assumono che la descrizione fisica sia uguale da per tutto, cosa che non è necessariamente vera. Benché le leggi della fisica sono le stesse dovunque, il peso relativo dei vari fattori fisici (temperatura, umidità, ecc.) differisce secondo la geografia locale del territorio. In aggiunta, la natura caotica dell’atmosfera e la limitata precisione del calcolo numerico limitano l’estensione e l’accuratezza delle previsioni per la scala locale.

Oggi, è possibile superare questo problema integrando, grazie a computer estremamente potenti, i tre metodi di previsione visti sopra.

Assumendo come base di partenza le previsioni numeriche a grande scala fatte con Modelli di Circolazione Generale (General Circulation Models, GCM) dell’atmosfera e degli oceani, si riduce la scala tramite Modelli (numerici) ad Area Limitata (Limited Area Models, LAM), scala di previsione che si riduce ulteriormente con Modelli Statistici d’Uscita (Model Output Statistics, MOS). Questi ultimi contengono relazioni statistiche tra previsioni modellistiche degli anni precedenti e il tempo effettivamente osservato in superficie a piccola scala. Infine, un previsore umano esamina, con approccio soggettivo, sia l’uscita del modello LAM (di solito ad intervalli di 12 ore, in coincidenza con l’arrivo di nuove misure meteo) e sia le previsioni MOS per eliminare le previsioni anormali e migliorare la propria previsione meteo in superficie. Il vantaggio di combinare le tre metodologie è che ciò permette di specificare le previsioni meteorologiche basate sui modelli numerici in una zona ben definita del territorio, usando statistiche che riflettono i fattori locali altrimenti non rappresentati. 
 

Tanto più fitti (spazialmente e temporalmente) sono i dati meteo locali e tanto più lunghe sono le loro serie storiche tanto più affidabili e localizzate saranno le previsioni fatte dal previsore umano su base statistica. In particolare, la densità spaziale della rete meteo di un territorio finisce col determinare la dimensione dei pixel in cui una previsione è affidabile e d’utilità pratica.

Ora, se consideriamo che le reti meteo più fitte sul territorio italiano sono quelle gestite dalle Regioni e che, nel migliore dei casi, i punti di misura hanno una distanza media di 10 km, possiamo considerare che il pixel di una previsione meteo locale non può riferirsi a un’area molto più piccola di 100 km2. Cioè 100 volte maggiore del pixel d’azienda (1 km2) definito nel post precedente (MeRi news N. 06). Visto che è questo pixel che porta informazioni utili alle aziende olivicole (e, più in generale alla maggior parte delle aziende agricole italiane), le previsioni meteo su base statistica debbono raggiungere la risoluzione di 1 km2. E ciò è possibile disponendo sul territorio di una rete di misure meteo con una maglia media di 3-4 km. 
 


La successione delle tre immagini qui sopra può essere vista come una zoomata sulla Regione Emilia-Romagna; l’ultima, in particolare, mostra una delle reti pluviometriche più fitte d’Italia. Ma neanche questa è sufficiente, da sola, per previsioni aziendali personalizzate. Per dare un’idea di ciò che serve, mostriamo una rete di monitoraggio meteorologico installata sul versante del Vulcano Laziale che guarda verso Roma. Reti così fitte si possono realizzare integrando i punti di monitoraggio meteo dei Servizi Nazionali e Regionali già operanti sul territorio (cerchietti rossi) con nuovi punti di misura intermedi collocati opportunamente (cerchietti neri). Una tale densità di stazioni serve solo su territori limitati e con vocazione per colture ad alto reddito, come l’olivicoltura e la viticoltura DOP. 
 
Naturalmente, queste reti hanno costi di installazione e di gestione, nonché di collegamento col previsore e di comunicazione delle previsioni agli utenti. Chi può sostenere questi costi? “Un Ente Pubblico”. Penserà subito qualcuno. Invece io credo che sarebbe meglio che le spese per le previsioni meteo locali personalizzate siano sostenute, con fondi privati, dalle organizzazioni degli olivicoltori: consorzi, cooperative, associazioni. Così, tra l’altro, si avrebbe come risultato che i vantaggi derivanti dalle previsioni meteo locali sarebbero controllati direttamente da chi c’investe su.

Maurizio Severini  

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mercoledì 18 febbraio 2015


Più di un follower del nostro blog vuole sapere come si possono fare le previsioni meteo ‘personalizzate’ per azienda. Rispondo volentieri. Ma avverto che l’argomento è un po’ tecnico e non basterà questo post per esaurirlo.

Solo una piccola percentuale di aziende, in Italia, ha una Superficie Agricola Utilizzata (SAU) maggiore di 100 ettari (1 km2). La maggior parte di quelle che producono un reddito significativo ha tra 5 e 20 ettari (in media 10 ettari (330 m x 330 m). Sono queste le aziende che possono investire in ricerca e innovazione, oltre, naturalmente, a quelle più grandi. Perché faccio riferimento alle dimensioni delle aziende? Perché, volendo fare previsioni meteo personalizzate, si deve spingere il potere risolutivo delle previsioni meteo alla scala delle aziende agricole.

Queste previsioni, dette a microscala, rappresentano ancora oggi uno dei problemi più difficili della meteorologia. Ma la soluzione, oggi, è a portata di mano e ci si dovrà arrivare quanto prima se il ruolo della meteorologia in agricoltura non vuole limitarsi a una bella chiacchierata. Non bisogna, tuttavia, nascondere che la previsione personalizzata, seppure fattibile, necessiti ancora di ricerca scientifica e d’investimenti, dei quali, a mio avviso, si dovranno far carico anche le organizzazioni dei produttori. Accennerò in questo post al metodo per rappresentare la meteorologia del territorio a microscala e nel prossimo a quello per prevederla.

La parola pixel (dall’inglese: picture element = elemento d’immagine) indica la superficie più piccola che, insieme a centinaia (o a migliaia, o a milioni) di altre, tutte della stessa dimensione, forma una immagine (detta digitale). Un pixel è un elemento nel senso che, qualunque sia la scena rappresentata nell’immagine, la sua caratteristica (ad esempio il colore) non varia all’interno del pixel pur potendo cambiare da pixel a pixel. Nell’immagine di lato, per esempio, ogni quadratino colorato è un pixel. Naturalmente, tanto più piccole sono le dimensioni del pixel e tanto maggiore è il numero di dettagli che si possono rappresentare in un’immagine.      


Anche una carta meteorologica, oggi, si presenta come una immagine digitale fatta di pixel, solo che in questo caso i colori dei pixel non rappresentano quelli di una scena reale (come nelle fotografie), bensì i valori di una grandezza fisica meteorologica sul territorio. Ad esempio, l’immagine sottostante rappresenta le precipitazioni giornaliere su una zona dei Castelli Romani. Qui, i pixel indicano (in scala) quadrati di lato 1 km e le diverse intensità di azzurro le differenti intensità di pioggia nei diversi pixel (scuro fino a 15 mm, intermedio fino a 10 mm, chiaro fino a 5 mm, bianco assenza di pioggia). Per essere utile all’agricoltore, ad esempio, per guidarlo nelle tecniche colturali o negli interventi fitosanitari, le dimensioni del pixel devono essere paragonabili a quelle della sua azienda.

A rigore, dato che in un pixel il valore della grandezza fisica rappresentata (precipitazione, temperatura, umidità, ecc.) non cambia, per dare una informazione personalizzata ad un’azienda di 10 ettari e distinguerla da una vicina, il pixel della carta meteorologica dovrebbe avere un’area di 0,1 km2 (un quadrato di lato 330 m). Tuttavia, per l’agrometeorologia, non è indispensabile una risoluzione spaziale tanto spinta.
Ciò che succede in un punto del territorio è legato a ciò che succede nei punti circostanti e dipende, in primo luogo, dall’orografia. Dato che, per una azienda, l’orografia circostante resta sempre la stessa, il tempo meteorologico non varia troppo da un’azienda ad una limitrofa (alla distanza di qualche centinaio di metri). E così, con territori non troppo accidentati, carte meteo con pixel da 0,5 fino a 1,0 km2 , come quella mostrata sopra, si possono considerare utili per previsioni agrometeo personalizzate. Chiameremo pixel d’azienda il pixel di un kilometro quadrato.

Stabilita la dimensione del pixel utile all’agrometeorologia, col colore che gli viene attribuito si può rappresentare il valore di una qualunque grandezza fisica (temperatura, precipitazione, ecc.) o d’interesse agrario (fenologia di una coltura, densità di parassiti, data di raccolta, ecc.) utilizzabile per le pratiche agricole dalle aziende che risiedono in esso.

Consideriamo, ad esempio, la mappa digitale delle precipitazioni giornaliere riportata sopra. Essa si riferisce a un territorio di (10 x 10) = 100 km2 con 100 pixel d’azienda al suo interno. Il colore di ciascun pixel indica la quantità di precipitazione; perciò, in essa, sono rappresentati 100 valori di precipitazione. Come è possibile determinarli tutti? Certamente, sarebbe troppo costoso (e anche inutile) collocare uno strumento di misura delle precipitazioni (un pluviometro) in corrispondenza di ciascun pixel (servirebbero 100 pluviometri!). Per questo, si applicano i metodi della geostatistica (noti anche come tecniche GIS – Geographic Information System), una branca delle scienze statistiche, che permettono di calcolare i valori di precipitazione in tutti i pixel d’azienda del territorio a partire dalle misure di pochi pluviometri collocati opportunamente. La mappa sottostante mostra la posizione di dieci pluviometri (cerchietti rossi) buoni per calcolare le precipitazioni dei 100 pixel d’azienda.


Con una mappa come questa, ogni azienda in quest’area di 100 km2, sapendo qual è il suo pixel, sa quanta pioggia ha ricevuto nella giornata e può avere un’informazione utile per le sue attività senza dover eseguire misurazioni dirette. Considerando che in ciascun pixel d’azienda ci sono almeno tre aziende, con 10 pluviometri se ne servono almeno 300 (spesso di più). Ma, come si vede, la distanza media di ciascun pluviometro da quello più vicino è di circa 3 km. E in Italia non esiste, a quanto ne so, nessun comprensorio agricolo tanto ampio con una rete di pluviometri tanto fitta.

Maurizio Severini

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giovedì 12 febbraio 2015


Nei quattro numeri precedenti di MeRi news abbiamo provato a rispondere al coro di esperti e giornalisti che ha sostenuto l’inevitabilità della perdita d’olio dell’annata 2014 sostenendo che qualcosa di più per ridurre la perdita di olive si sarebbe potuto fare: bastava applicare il Dimetoato agli olivi a tempo debito. Certo, ciò avrebbe richiesto ben altra attenzione ed organizzazione di quella con cui è stato affrontato il problema e sono attualmente gestiti gli oliveti. E con ciò non mi riferisco a qualche oliveto sperimentale di qualche dipartimento di agraria o centro di ricerca, ma alla maggior parte degli oliveti, quelli che poi, di fatto, determinano la produzione di olio. In questi, le tecniche colturali, di difesa e di raccolta non differiscono molto da quelle di un secolo fa e conoscenza scientifica, innovazione e ricerca trovano scarsi riscontri.

Nel numero precedente, dopo aver cercato di dare un’idea di quanto sia impegnativa la tecnica per la protezione degli oliveti (previsioni meteo personalizzate + analisi delle olive infestate + uso del Dimetoato a tempo debito), abbiamo concluso osservando come sia molto più semplice sperare che tutto vada per il meglio e, in caso contrario, chiedere contributi pubblici. Ma il ritardo dell’innovazione tecnica nella protezione degli olivi (come delle altre colture) non dipende, nel nostro Paese, soltanto da una carenza di mezzi. Un vero e proprio ritardo culturale accomuna una moltitudine di operatori agricoli ‘ fai da te ’ e opinione pubblica: l’avversione all’uso di prodotti chimici in agricoltura. Anche per questo, molti olivicoltori rifiutano sdegnosamente anche solo di parlare di ricorso all’uso del Dimetoato. Secondo loro, dato che il prodotto è tossico, esso è nocivo per la salute e per l’ambiente. Questo è vero, ma il rischio dipende da quanto prodotto si usa; e ci sono regole precise da rispettare nel suo impiego perché il Dimetoato, potenzialmente tossico, non provochi danni né alla salute e né all’ambiente.

Le regole per l’uso del Dimetoato (come degli altri prodotti fitosanitari) sono il risultato di ricerche scientifiche e sperimentazioni serie fatte non solo dalle industrie chimiche private produttrici, ma anche dagli Enti pubblici che hanno il compito di tutelare la salute dei cittadini, degli animali e dell’ambiente. Queste regole sono diverse e articolate in relazione al grado di efficienza e pericolosità dei prodotti e riguardano: il loro acquisto, trasporto e conservazione, il metodo di difesa (a calendario, guidata, biologica, integrata), l’etichettatura, l’uso, la pulizia e il ricovero delle macchine irroratrici, lo smaltimento, ecc.. (consultare ad es.: ‘Guida al corretto impiego dei prodotti fitosanitari’ Regione Lazio, 2009; oppure la Determinazione A02562 del 4 aprile 2013 della Regione Lazio). Ciò che mi preme puntualizzare qui è che l’uso del Dimetoato, nel rigoroso rispetto di queste regole, è un importante contributo della Ricerca Scientifica alla produzione dell’olio e non un subdolo attentato alla qualità dell’ambiente e alla salute umana. Se mai è il rifiuto ‘a priori ’ di questo prodotto a essere un modo irrazionale di protezione degli oliveti. Le regole per l’uso sicuro ed efficiente dei prodotti fitosanitari ci sono, basta rispettarle (e farle rispettare).

Spulciando tra le decine di articoli in rete sul calo dell’olio del 2014, da cui abbiamo preso le mosse fin dal primo numero di MeRi news, abbiamo trovato qualche nota fuori dal coro (poche, in verità), che merita di essere ripresa. A proposito di olivicoltura c’è chi sostiene che non c'è conoscenza e ci si affida a quello che facevano i nostri nonni, chi che non si può continuare a fare l'olio come 60 anni fa, chi che l'agricoltura è cambiata e il clima anche, e perciò è necessario aggiornarsi e chi che l’Italia è rimasta arretrata per quanto riguarda l’olivicoltura moderna. Poi si trovano anche critiche più specifiche come: abbiamo rinunciato alla sperimentazione, stiamo abbandonando la ricerca che ci aveva reso celebri nel mondo, le forze della natura esistono e incidono, ma quello che fa la differenza è la preparazione. Infine, in un post di RGU notizie ho trovato la proposta più sensata: dopo l’invito a ‘ non creare allarmismi ’ a proposito del calo di produzione dell’olio, si afferma ‘ la volontà di chiedere a gran voce un osservatorio su l'andamento dei fenomeni fitosanitari ’.  

L’introduzione del metodo scientifico nella difesa fitosanitaria degli oliveti (e delle altre colture), con ciò che comporta in termini di conoscenze, organizzazione, monitoraggio, strumenti, investimenti, ecc. non è cosa che può  competere alle singole aziende, bensì alle loro organizzazioni: consorzi, cooperative, associazioni. Sono queste che dovrebbero (e avrebbero dovuto) preoccuparsi d’introdurre innovazione nelle pratiche agricole tradizionali. E invece, leggendo le loro reazioni di fronte al calo della produzione di olio dello scorso anno, esse sembrano preoccupate a fronteggiare l’emergenza attuale (cosa più che necessaria), ma non di prepararsi ad affrontare i prossimi attacchi della Bactrocera con maggiori probabilità di successo.

Nell’incontro di Montepaldi del 19 dicembre 2014 (http://www.scuoladellolio.it/it/news/19-andamento-climatico-e-infestazione-di-mosca-olearia ), in cui si sono analizzate la cause del calo dell’olio in Toscana, il prof. R. Petacchi della Scuola Sant’Anna di Pisa, nella presentazione ‘La mosca delle olive: il punto sulla bioecologia alla luce anche dell'annata olivicola 2014’, ha mostrato un grafico, relativo all’analisi dei dati della sua regione, da cui risulta che le ultime infestazioni dannose della mosca olearia si sono succedute ad intervalli di (circa) sette anni (2001, 2007, 2014). Non disponendo di dati altrettanto accurati, possiamo ipotizzare che anche nelle altre regioni dell’Italia Centrale il ritmo degli attacchi dannosi sia simile. Le organizzazioni degli olivicoltori hanno dunque a disposizione (circa) sette anni per affrontare la Bactrocera in modo più razionale di come hanno fatto finora (e con maggiori probabilità di successo).   


Maurizio Severini




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mercoledì 4 febbraio 2015


Ragionando sulle cause della diminuzione di produzione dell’olio d’oliva di qualità verificata lo scorso anno, diminuzione quasi unanimemente attribuita dagli esperti agli attacchi della mosca olearia (Bactrocera oleae) ed al tempo meteorologico, nei numeri precedenti, ci siamo domandati se si sarebbe potuto fare qualcosa di più per evitare questa “catastrofe”. E la risposta è stata sì, a condizione di usare l’insetticida Dimetoato a “tempo debito”, cioè sulla base di previsioni meteo locali personalizzate per le aziende. In questo numero, cercheremo di specificare il tempo debito non soltanto in relazione alle vicissitudini del tempo, ma anche alle caratteristiche nella mosca.

Partiamo ancora dalla voce ‘Bactrocera oleae’ di Wikipedia. (che chiunque può controllare sul web).  “Le femmine depongono le uova a partire dall'estate inoltrata, quando l'oliva ha almeno un diametro di 7-8 mm. L'ovideposizione avviene praticando una puntura con l'ovopositore sulla buccia dell'oliva e lasciando un solo uovo nella cavità sottostante”. “La schiusura dell'uovo avviene dopo un periodo variabile secondo le condizioni climatiche: da 2-3 giorni nel periodo estivo ad una decina di giorni nel periodo autunnale. La larva neonata scava inizialmente una galleria superficiale, ma in seguito si sposta in profondità nella polpa fino ad arrivare al nocciolo, che in ogni modo non viene intaccato. Durante lo sviluppo larvale avvengono due mute con conseguente incremento delle dimensioni della larva. In prossimità della terza muta la larva di terza età si sposta verso la superficie e prepara il foro d’uscita per l'adulto rodendo la polpa fino a lasciare un sottilissimo strato superficiale”. Poi si trasforma in pupa. ”La pupa resta quiescente nella cavità sottostante, protetta all'interno del pupario formato dall'esuvia della larva matura”, finché non si trasforma in adulto (la mosca) che lascia l’oliva attraverso il foro d’uscita .

Il riferimento all’ “estate inoltrata” è troppo vago. L’inizio dell’infestazione varia da una località all’altra in relazione all’andamento meteo dei mesi precedenti. Ritorneremo su questo punto. Ci soffermiamo, invece, sulle dimensioni della larva. La larva che sguscia dall’uovo deposto dalla mosca (larva di Prima Età, L1) è molto piccola (1 mm) e scava una “galleria superficiale”, cioè immediatamente al di sotto dell’epidermide dell’oliva. E’ qui che esplica la sua azione il Dimetoato (o un altro prodotto citotropico). Naturalmente, le mosche olearie non depongono le uova in tutte le olive nello stesso giorno; ma l’insetticida, una volta penetrato, rimane lì per circa tre settimane prima di essere degradato dai processi metabolici interni del frutto. Quindi, se il Dimetoato viene dato a tempo debito, esso svolge la sua attività curativa all’interno dei frutti nella fase incipiente dell’infezione, quando le larve sono molto piccole e le loro gallerie sono superficiali, cioè quando i danni alle olive sono molto limitati.

Se le larve di prima età (L1) non vengono uccise a tempo debito, si sviluppano nell’oliva e, dopo circa 5 giorni subiscono la prima muta: perdono lo scheletro esterno, s’ingrossano e diventano larve di Seconda Età (L2). Queste, essendo più grandi, danneggiano di più la polpa del frutto e, soprattutto, cominciano a scavare gallerie in profondità, dove l’effetto degli insetticidi citotropici (e quindi dei trattamenti) diminuisce progressivamente. Da un certo punto in poi, lo sviluppo delle larve L2 va avanti da sé. Le larve L2 subiscono la seconda muta e diventano larve di Terza Età. Le L3 sono larve grandi (fino a 8 mm) che scavano grandi gallerie sempre più profonde, vi rilasciano i loro escrementi e arrivano spesso fino al nocciolo. A questo punto, l’oliva è persa.

Quindi, le olive non si perdono (o almeno la loro perdita si riduce notevolmente) se il Dimetoato si dà a tempo debito, cioè in una settimana in cui ha inizio una intensa ovideposizione di uova della mosca olearia e in un giorno in cui è si prevede che non pioverà nel giorno successivo. Le trappole aiutano ad individuare la settimana, con le previsioni locali ‘personalizzate’ si trova il giorno.  

Le trappole in campo, per il monitoraggio, è bene posizionarle verso metà-fine giugno quando le mosche non depongono ancora le uova anche a causa della scarsa recettività delle olive da olio. Le trappole attraggono le mosche che volano nell’oliveto con un’esca che emette odori sessuali (feromoni) e le catturano con una sostanza vischiosa. Il numero delle catture settimanali dipende in qualche modo dalla densità delle mosche e quando questo supera un certo valore (ad es. valore medio in tre trappole: 10 adulti/settimana) l’infestazione può già essere in atto. D’ora in poi,  per intervenire a tempo debito col Dimetoato, si deve diagnosticare settimanalmente l’Infestazione Attiva (I.A.) delle olive; e questo si fa cogliendo un campione di 100 olive a caso, sezionandole e calcolando la percentuale di olive con uova o larve piccole (di 1° e 2° età). La settimana in cui la I.A. supera il 10%, la cosiddetta Soglia d’Intervento, s’interviene col Dimetoato o con un altro insetticida citotropico (MeRi news N. 3). Quante volte si può intervenire? Il Dimetoato è un prodotto tossico e (giustamente) esistono regole e  ‘disciplinari’ che ne limitano l’impiego; ma queste regole non sono stabilite a caso e, se applicate a tempo debito (previsioni meteo personalizzate + soglia d’intervento), permettono di proteggere adeguatamente la produzione delle olive e la qualità dell’olio.

Abbiamo descritto con un minimo di dettaglio le operazioni necessarie per la protezione degli oliveti dagli attacchi della mosca olearia per mostrare quanto siano articolate, complesse e costose queste operazioni. Ma anche per mostrare che esse sono fattibili. Certo, è molto più semplice non farle, sperare che tutto vada per il meglio ed, in caso contrario, chiedere contributi pubblici per sostenere il prezzo e la qualità dell’olio d’oliva italiano. 


Maurizio Severini 

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lunedì 26 gennaio 2015



Nel numero della settimana scorsa: “Dimetoato, chiè costui?”, ci siamo messi a discutere sommessamente (e a cercare di capire) se si sarebbe potuto fare qualcosa di più per evitare, o almeno ridurre, il danno della mosca olearia e del tempo meteorologico sulla produzione di olio di qualità nell’annata che si è conclusa da poco. Sì, perché quasi tutti i commenti in rete, a questo proposito, sostenevano che non c’era stato nulla da fare. Ma alcune (poche) interviste ‘controcorrente’ mi hanno messo in curiosità. E ho ‘scoperto’ il Dimetoato. Non essendo un esperto in chimica agraria, mi sono andato a documentare; cosa che può fare chiunque, grazie a internet.

Naturalmente, nel coro di lamentele per la produzione olivicola andata a male, le affermazioni sull’inefficacia dei possibili interventi chimici si sprecano. Tutte suonano più o meno così: ‘ Quella delle olive del ‘14 è stata una strage vera e propria che neppure i prodotti larvicidi sono riusciti a limitare’, ‘ci sono state quattro, cinque, sei ondate di attacchi della Bactrocera contro cui è stato inutile intervenire con la chimica’, ‘anche chi è intervenuto non ha salvato il raccolto’, e così via. Stringi, stringi, queste asserzioni si basano su tre argomentazioni. Gli interventi contro la mosca delle olive sarebbero stati inutili (e tali sono risultati per quei pochi che li hanno tentati) perché:  i) le continue piogge hanno ‘lavato via’ i prodotti irrorati, ii) il numero di generazioni ‘fino a cinque’ della Bactrocera è stato inaspettatamente grande, iii) il numero dei trattamenti necessari ‘fino a sei’ sarebbe stato troppo alto e costoso per le aziende.

A parte l’ovvia constatazione che frasi apparentemente negative come ‘pure gli interventi chimici sarebbero stati inutili’ contengono una affermazione (inconscia ?) della superiorità potenziale della difesa chimica; io, che non sono uno psicologo, vado ad analizzare i tre perché: il primo in questo numero di MeRi news, gli altri due nei successivi.

i) Il dimetoato è un insetticida citotropico. Questo attributo indica che il prodotto penetra ‘con facilità e rapidità’ (Wikipedia) in una o due ore attraverso la buccia delle olive e si va a collocare al di sotto di essa. Trascrivo la definizione che ne dà il glossario della “Guida al corretto impiego dei prodotti fitosanitari” della Regione Lazio (2009). “CITOTROPICO: si dice di un prodotto fitosanitario che effettua una penetrazione superficiale negli organi della pianta; è limitata, cioè, ai primi strati di cellule sottostanti l’epidermide con cui viene a contatto. Il prodotto fitosanitario è dilavabile in maggior o minor misura in funzione della velocità di penetrazione; è soggetto in genere ad essere degradato ad opera di enzimi o di altre sostanze prodotte dalla pianta”. Quindi, una volta entrato nel frutto, il dimetoato non viene dilavato dalle piogge e il suo dilavamento si può verificare solo se piove nel giorno stesso in cui è irrorato.

E’ vero, la scorsa primavera è stata estremamente piovosa (come quantità di precipitazioni); ma a due-tre giorni consecutivi di pioggia abbondante si sono sempre alternati due-tre giorni con assenza di precipitazioni (come, del resto, succede di solito in quel periodo). Mi domando se gli olivicoltori che hanno effettuato i trattamenti ‘inutili’ disponevano di previsioni meteo locali utili per quei trattamenti e ad esse si sono riferiti per decidere il giorno del trattamento. Perché, per evitare il dilavamento e (quindi) assicurare l’efficacia del trattamento, si deve trattare un giorno per cui si ha la certezza (o almeno un’alta probabilità) che sull’uliveto non pioverà nelle 12 ore successive. E per questo servono previsioni meteo locali ‘personalizzate’, cioè specifiche per l’azienda.

Le piogge sono uno dei fenomeni meteorologici più erratici (a pelle di leopardo) alle nostre latitudini e in un Paese ad orografia complessa come l’Italia e situazioni in cui mentre piove su un’azienda non piove su un’altra a distanza di 2-3 km sono tutt’altro che rare. Previsioni meteo a scala aziendale, azienda per azienda, sono oggi tecnicamente fattibili, ma enti, consorzi, cooperative, associazioni, aziende non sono in grado di fornire agli olivicoltori questo servizio. Così, se la pioggia dilava i trattamenti si impreca contro la sfortuna e si stabilisce la loro inutilità.  

In Italia esistono vari Servizi di previsioni meteorologiche. Alcuni operano a scala nazionale (o ‘grande scala’), altri a scala regionale (o ‘mesoscala’), ma nessuno di essi fa previsioni a scala aziendale (o ‘microscala’). Per avere previsioni di precipitazioni (e di altre grandezze meteo: temperatura, umidità, vento, ecc.) per le aziende, serve una rete meteo locale di monitoraggio gestita da una piattaforma informatica che permetta – partendo dalle misure meteo in loco – di passare da previsioni a grande scala a previsioni a microscala. Queste ultime, per essere veramente utili alle singole aziende, cioè per guidare scientificamente gli interventi sulle colture, debbono tenere conto non solo della situazione meteorologica generale, ma anche dell’altitudine, della topografia, dell’esposizione, della distanza dal mare, ecc. di ogni specifica azienda con una risoluzione spaziale di circa 1 Km2 e temporale di un giorno. Previsioni meteo locali personalizzate per aziende oggi sono tecnicamente possibili ed economicamente vantaggiose. Si attende solo qualcuno che abbia voglia di investire su esse e sperimentarle.


Maurizio Severini
 

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